Mi
sveglio molto presto per poter presenziare puntuale come un orologio
svizzero alla Cicero Barreto. 7.30, lezione preparata, netbook
carico e progetto educativo nel taschino. Peccato che, arrivato alla
scuola, non trovi nessuno dei traduttori delegati, l'insegnante
d'inglese non ci sia e nessuno pare saper nulla tranne una bidella
che si ricorda del mio viso. Parlo con un simpatico insegnante di
spagnolo facendogli vedere qualche foto presa da Google sulla sua
zona d'origine nel nord est italiano, leggo qualche curiosità su un
paesello di nome “Mori” e parliamo degli stereotipi brasiliani
dal punto di vista italiano (e, ovviamente, l'inverso). Copacabana e
caipirinha vs. mandolini e pizza, amazzoni contro mafiosi e
così via, insomma: tra la presunta verità della banalità e la sola
banalità. Mi accordo con una responsabile dell'organizzazione delle
ore d'insegnamento per capire quando lavorare e dove sia il problema;
sono soccorso da una gentile ragazza antropologa (ebbene si, anche
qui incontro gli “antropofagi”) che si offre di tradurre per me
le prossime lezioni in caso di necessità e di collaborare su qualche
tema comune di studio.
Provo ad andare al centro trasporti per ottenere la “carta sconto
studenti” ed ammortizzare i tempi facendo una bella mezz'ora di
coda ma scoprendo che, a causa di una lurida fotocopia mancante, non
posso nemmeno iniziare la procedura. Burocrazia fottuta, torno al
“Germano's place” e, dopo il solito lavoro
scribacchino-post-pro-fotareccio, prendo un bus per Camobi
alla ricerca di ristoro, nanna, doccia e clima familiare per
attennuare lo stress di questi giorni. La mia famiglia ospitante si
rivela come al solito fantastica soprattutto nell'offrirmi i già
conosciuti tortelloni di zucca che sono in grado di rimediare ad ogni
malessere dell'anima e del corpo. Una bloggerata pomeridiana
in compagnia della nonna brasileira
intenta a fare una sciarpa per la sua nipotina intrecciando
miracolosamente i ferri e la lana di colore blu, con la terribile
sensazione d'aver perso qualcosa per strada, d'essere stato derubato
dal destino o forse solo dalla volontà altrui farcito come una torta
di panna montata da una strisciante saudade che
sa abbattere anche i cuori più duri.
Dopo aver gustato le meravigliose
pizzette di Isabella (di cui una caduta con maestria dalla sua
padella alla mia gamba) mi accingo a riprendere il bus “Carlos
Gomez” verso la downtown e
la rinominata località “Germano's Kingdom”, ovvero la stanza con
i due materassi gettati a terra su cui viviamo nel centro città. Si
incontrano sotto casa i vari amichetti brasileiri e
si beve una veloce birra al “Jackye's” attendendo di mettersi in
coda per questo fantomatico “Ballare”. In quest'ultimo locale il
tamarro raggiunge
vette mai viste ed il servizio di sicurezza pare debba tener d'occhio
una fortezza piena di “donne e uomini dai facili costumi”. Dopo 4
birre di default comprese
nel prezzo, altre tre divise in società ed infine altre due versate
in bicchieretti di plasticaccia, la serata finisce alle 6 a.m. con
una mezza dormita sul tavolaccio da lavoro del regno di Germano.
Sorge un mistero ed una domanda spontanea: se non v'è più nessun
materasso a terra, il mio materasso...dove diavolo sarà finito?
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