Metto la sveglia
in punto alle 6.30 a.m. Si devono chiudere le valigie e prepararsi a partire
per Rio. Faccio una piccola colazione con Claudio sorseggiando un caffè con
latte senza zucchero, freddo, che fa rabbrividire il mio ospitante come
“contro-shock culturale” (o, forse, solo una mia pessima abitudine personale).
Una banana con miele di Santa Maria e cannella, una fetta di prosciutto con
pane fatto in casa e via, il tempo è poco, non si può rischiare di perdere il
bus. Saluto Isabella e la ringrazio di tutto ciò che mi è stato gentilmente
donato in queste 6 settimane, lasciando un pensiero anche a tutti i familiari
conosciuti lungo il cammino. Si sale a bordo, direzione Rodoviaria.
Chiacchierata sulle mie impressioni riguardo la cittadina universitaria sud brasileira
pattugliata dall'airforce militare, riflessioni su ciò che è stato
fatto seppur in poco tempo, un ricordo per gli amici conosciuti e lasciati al
loro percorso. Ed infine, il ritorno nella nostra Patria che affonda e sembra non poterci
offrire nulla se non un altro biglietto aereo colmo della speranza di avere nuovi possibili mattoni alla mano per costruire un super attico dell'anima
personale.
Alla stazione
centrale arrivano Fernando, Luciana, Germano: si caricano i bagagli e si sale
in carrozza del grosso bus turistico Planoalto, diretti verso Rio de Janeiro.
Una dormitina per recuperare le scarse ore di sonno, una scrittura
bloggeristica di semi-fortuna sognando una wi-fi che funzioni per davvero ed
infine la mole di pensieri che si affollano davanti le mie meningi. Mi sento
nel mezzo di un'autostrada affollata di considerazioni su ciò che è stato e che
sarà; penso alle persone entrate, uscite e fuggite, coloro che hanno fatto una
capatina e coloro che avrebbero voluto parcheggiare la propria anima in
prossimità della mia, alle prossime personalità che incontrerò in futuro e
all'autentica possibilità di fare molto con sola la forza della volontà
personale. Euforia e saudade, “what will be, will be”. Sigh.
Dal
finestrino fila via, liscio, il verde paesaggio del Rio Grande do Sul mentre
“Things ain't like they used to be” dei Black Keys mi riempie il cuoricino di una strana
nostalgia sedicenne e sedicente che mi prende per la cinta e mi butta indietro,
nel passato, con un grande flashback temporale che mi fa annegare
dolcemente nella più profonda banana spleen à l'italienne.
Arrivati a Porto
Alegre rimaniamo con pochi altri sul bus per ricevere un passaggio di cortesia
sino all'aeroporto, dove carichiamo i bagagli sui carellini di servizio e
cerchiamo un posto dove mangiare qualcosa. Nel bar più vicino un croissant
salato costa 12,20 reales, un caffè 3,50; si ripiega verso il McDonald
del terzo piano dove io prendo un Sunday de Morango a 4 R$ e Germano un menù
con gamberi (in realtà pollo a 21 R$). Il costo della vita in aeroporto è
qualcosa di paragonabile allo stile di vita di sceicchi arabi spendaccioni ed ubriachi in
giro per il sud del Brasile; occorre fare molta attenzione e rimanere
parsimoniosi. Imbarchiamo i bagagli riuscendo ad ottenere il permesso di
portare a bordo la strumentazione costosa per il réportage brasileiro ma rinunciando al pensiero di pagare 35R$ per
“incellophanare” la nostra valigia imbarcata (ovvero plasticaccia pagata al
pari della pietra luccicante scoperta da Leonardo di Caprio in “Blood
Diamonds”). Un difficoltoso imbarco a causa di un treppiede di troppo
(“...oltre i 20 centimetri, serve il permesso della compagnia aerea!”), una
valigia in più pagata cara per Germano ed infine l'imbarco dopo il noioso
passaggio ai raggi X di tutta la mercanzia documentaristica e non solo.
Seguono due ore di viaggio con “Gol” che ci offre gentilmente solo un bicchiere
d'acqua ed un ritardo di mezz'ora sulla tabella di marcia. Scesi all'aeroporto
prendiamo le 5 valigie totali e cerchiamo il famoso bus blu che ci porterà per
soli 12 reales -a differenza dei 105 del taxi (!)- in centro città
attraversando una piccola parte di favelas per arrivare infine al
quartiere Copacabana. Qui, dopo aver domandato l'indirizzo del nostro ostello
ad un paio di gentili vecchiette disinformate, prendiamo un taxi che per 2
chilomteri ci fa pagare 17 reales (con, in più, “costo supplementare dei
bagagli”).
All'ostello siamo accolti da una pluri-tatuata e
pluri-colorata brasileira che ci rivela che la nostra prenotazione, in
realtà, non esiste. Tuttavia siamo fortunati perché sono disponibili ancora due
posti ad un prezzo relativamente ridotto (35R$ a notte), cucina e doccia
compresa. Ed è proprio una doccia che bramo con ogni parte di me stesso, mente,
corpo e spirito. Una bloggerata con trasferta sul mondo d'internet e
via, a conoscere gli ospiti provenienti da tutto il mondo bevendo
un paio di birre e chiedendo informazioni sul famoso “Cristo Redentore” di Rio
de Janeiro. Usciamo per fare una giro alla famosa spiaggia bianca di
Copacabana, ammirando nell'oscurità la bellezza da cui si possono riconoscere i
grossi faraglioni a picco sul mare a forma di grosso uovo appoggiato su un lato.
Un bel momento:
pensare di essere dall'altra parte del mondo fissando l'onda lunga dell'oceano
che cerca di bagnarti il culo, poggiato placidamente sulla candida spiaggia
Carioca. Per curiosità chiediamo informazioni sui costi di una enorme suite
vista mare che ha l'aria di essere a dir poco “presidenziale”: si arriva a 600
dollari a notte per la soluzione basilare. Innamorati di tutto il mondo,
mettete i soldi da parte se proprio volete fare questa -inutile?- follia per
conquistare la vostra amata!
Una doppia porzione di pollo fritto con una
lattina di birra ed acqua naturale, il sapore di aglio fin dentro l'anima più
profonda di noi stessi, il ritorno al tranquillo ostello “El misti” a soli 10
minuti di cammino dalla spiaggia più famosa del mondo. Scrittura bloggeristica
e gossip facebookiani, stop! Si va a dormire poiché è in programma di
alzarsi all'alba, correre sulla spiaggia e filmare la salita dell'astro
solare...ce la farò?
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Germano Go-PROing at Porto Alegre Airport |
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Waitin' with a cheap Sunday de Morango @ Porto Alegre Airport |
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Gol! Photos by Miguel Pascal |
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